Antonio Coletta Autore, ufficio stampa, redattore editoriale

Analogie e differenze tra me, Stig Tøfting, Brad Pitt e David Foster Wallace

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Analogie e differenze tra me e Stig Tøfting

Tofting Stig Denmark National Football Team 2001-2002 Photo Omega “Ragazzo, hai una gran testa”, mi disse una volta un distinto signore incontrato sul treno cui stavo spiegando il mio punto di vista sull’annoso problema del mancato gettito fiscale.

Preso alla sprovvista da un’affermazione del genere, diventai viola in volto e mi chiusi nel silenzio: riaprii il libro che stavo leggendo e, giunto a destinazione, me ne andai senza salutarlo.

Si dovrebbe prestare attenzione all’utilizzo delle parole, anche quando si vuol fare un complimento: credo non fosse stato difficile per il distinto signore notare le dimensioni del mio cranio anche se, di certo, non poteva essere a conoscenza della mia suscettibilità in merito.

Non avessi perso i capelli, le tariffe del barbiere per me le avrebbero calcolate in metri quadri.

Io, macrocefalo.

Racconta mia madre che quando ero in fasce temeva che il mio collo fosse troppo esile per sostenere una testa del genere.

Fossi stato Stig Tøfting, il più grande mediano che il calcio danese ricordi – uno che definirlo ruvido sarebbe un eufemismo –, avrei spaccato il bel normo-cranio di quel distinto signore.

Non esistono misure esatte della circonferenza cranica di Tøfting.

Del resto, chi avrebbe mai il coraggio di prendere le misure di una “gran testa” che “nel 2002 prende[va] a testate il proprietario di un ristorante di Copenaghen che si lamentava dell’eccessiva baldoria sua e dei compagni di Nazionale (picchiando successivamente anche il cameriere del locale), ottenendo quattro mesi di carcere”1?

Fossi stato Stig Tøfting, soprattutto, sarei stato il più grande mediano che il calcio danese ricordi.

Invece no, sono stato solamente un pessimo esterno in qualche partita di calcetto ai tempi delle medie.

Analogie e differenze tra me e Brad Pitt

Brad-Pitt-Wallpaper-2013-HDUna delle differenze principali tra me e Franca sta nel fatto che lei preferisce fare la doccia di sera, io la mattina, il che non costituisce alcun problema, anzi, ci permette di non scontrarci mai sull’utilizzo del bagno.

Non oso immaginare cosa accadrebbe se anch’io dovessi, un giorno, uscire di casa la mattina presto per andare a lavorare.

Dovrei svegliarmi alle cinque del mattino per permettermi quell’ora di acqua calda che mi serve a prendere contatto con la realtà.

Oppure dovrei fare anch’io la doccia alla sera.

Vai prima tu”

No, vai prima tu”

Vado prima io, allora”

No, credo sia meglio che vada prima io”

Allora vai tu”

Sì, vado io, ma sei sicuro?”

No, dai, vai tu”

Per comodità, potrei fare come quelli famosi ed abbandonare l’abitudinarietà: ultimamente ho letto da qualche parte che Brad Pitt ha smesso di lavarsi perché i saponi inquinano (l’avrebbe dichiarato, lamentandosi, la moglie in un’intervista).

Puzzi”, mi direbbe Franca dopo qualche giorno.

Anche Brad Pitt”, le risponderei io, andando a cercare su Google l’intervista che citavo poco prima.

Sì, ma lui è alto, biondo e con gli occhi azzurri ed è Brad Pitt”

Io sono alto e con gli occhi azzurri”

Ma sei pelato e non sei Brad Pitt”

Certo, Brad Pitt si taglierà le unghie dei piedi più frequentemente di me.

Sicuramente Brad Pitt non avvertirà fastidiosi bruciori alla sommità del pene – se di sommità si può parlare, viste le ridotte dimensioni.

Credo di sì”, mi rassicurerebbe lei, “del resto anche i fiammiferi hanno una testa”.

Analogie e differenze tra me e David Foster Wallace

wallaceIl divano di casa2 guarda verso la porta del bagno, il che mi impedisce di utilizzarlo in presenza di ospiti3.

E’ sera, Franca sta facendo la doccia4.

La porta del bagno è chiusa, io sto seduto sul divano a leggere un libro che mi ha passato Liborio5.

Il silenzio è rotto dall’acqua che scorre sul corpo di Franca6, dal vicino di casa che assiste all’ennesima replica del derby vinto dalla Roma contro la Lazio e dagli aerei che qui al Quadraretto7 volano basso8.

Poi Franca esce dal bagno in accappatoio, i capelli ancora bagnati9, mi guarda mentre leggo e mi dice: “ho avuto una bella idea, perché non leggiamo qualcosa insieme stasera?”

Il mio no di risposta è talmente secco e ben scandito da risultare inappuntabile. Faccio una piccola pausa, poi aggiungo “vediamo un film10, casomai”.

Franca torna in bagno, accende il fon, io riprendo a leggere.

Ne esce piuttosto seccata.

Qualcosa non va?”, le chiedo io.

Perché non vuoi leggere con me?”

Aggravo la situazione: “leggere è qualcosa di estremamente intimo e personale”11

In quel momento vedo frantumarsi la nostra relazione sotto i miei occhi: cosa c’è di estremamente intimo e personale da non poter condividere con la donna che ami? E’ questa la domanda che mi pone Franca, con toni completamente diversi.

Allora cerco di recuperare la situazione, “hai ragione”, le dico, “leggiamo qualcosa insieme”

Non mi guarda in faccia, “no, non ne ho più voglia, guardiamo un film”12

No, leggiamo”, le dico io.

Lei si mette a lavare i piatti, io vado in camera da letto e prendo dalla libreria una raccolta di racconti di David Foster Wallace13 che ho già letto qualche tempo fa.

Parto dal più breve, l’ultimo14.

Declamo: “Lei dice che non mi importa se mi credi o no, è la verità, poi tu credi pure a quello che ti pare. Quindi è sicuro che mente. Quando è la verità si fa in quattro per cercare di farti credere a quello che dice. Perciò sento di non avere dubbi”.

La partenza non è delle migliori: pare quasi che io la stia accusando di fare inutili capricci.

Inoltre, la mia lettura a voce alta è completamente diversa da come riesca ad immaginarmela nel cervello15: ha una fastidiosa cadenza dialettale che mi fa sentire un buzzurro.

L’irritazione continua a crescere andando avanti nella lettura.

E’ un racconto di tre pagine che riesce a farti immaginare tutto: i colori, i suoni, gli odori.

Ed è completamente diverso da altri testi che hanno fatto la fortuna di Foster Wallace, quelli dove i periodi sono interminabili eppure non perdono né in efficacia né in attenzione.

Riusciva bene in tutto, David Foster Wallace” mi dico, mentre leggo.

Mi irrita, David Foster Wallace, perché continua ad infastidirmi e ad attrarmi: non riuscirò mai a scrivere come lui16.

Ecco, ogni volta che leggo David Foster Wallace non vedo l’ora di dare un ultimo sguardo alle cazzate che scrivo io e di gettarle via – cosa che farei comunque ma con molta meno fretta e rabbia –, la mia mente corre già davanti al computer e mi fa incespicare nella lettura mentre la voce di Amendola mi dice “faresti bene a lasciar stare”.

Finisco la lettura, “Franca ti è piaciuto?”

Ti ringrazio per lo sforzo”, mi dice rimproverandomi, “ma forse hai ragione tu, leggere è qualcosa di estremamente intimo e personale”.

La abbraccio e cerco di farmi perdonare l’imperdonabile.

Intanto sogno e penso che magari un giorno anch’io riuscirò a scrivere qualcosa che si avvicini ad un qualsiasi racconto di David Foster Wallace17.

Per ora quel che posso fare per somigliargli è riempire questo paragrafo di note18.

Ho scritto un mucchio di cose terribili.

Lo prometto, è una cosa divertente che non farò mai più.

NOTE A PIE’ DI PAGINA
1 Cito da wikipedia senza verificare l’attendibilità della fonte
2 La casa dove vivo appartiene a Franca. Prima che cominciassimo a convivere quello era un ottimo divano acquistato a Mondo Convenienza. Successivamente, decisi arbitrariamente che alcuni cuscini dell’Ikea lo avrebbero reso più comodo: svuotai dunque le federe dei cuscini originari sostituendoli con dei Fjädrar. Sedere sul divano di casa, attualmente, è al primo posto tra le cause della scoliosi secondo l’OMS.
3 Un eccesso di pudore inusitato per uno che non ha resistito ad un attacco di diarrea in un pub di Dublino pieno di gente nell’inverno del 2009.
4 Per quanto riguarda il rapporto tra me, Franca e la doccia si veda il paragrafo precedente.
5 Nessuno crede che Liborio sia il vero nome di questo mio amico. Invece lo è, Liborio è un nome che esiste. Io, addirittura, ho conosciuto un altro ragazzo di nome Liborio, a Siena sul finire del secolo scorso.
6 Cerco di accrescere il tasso erotico della storia, ci sto riuscendo?
7 Il Quadraretto è una zona di Roma che si trova dall’altra parte della Tuscolana rispetto al Quadraro.
8 L’aeroporto di Ciampino è a un tiro di schioppo da casa. In una delle tante bozze del mio prossimo romanzo facevo riferimento proprio alla vicinanza della Tuscolana al principale scalo della Ryanair:
Qui al termine della Tuscolana gli aerei volano basso.
Ne passa uno ogni quarto d’ora all’incirca ed il loro rumore è l’unico modo conosciuto per far stare mansueto, in mia presenza, il cane della signora: l’amata bestia, ogni volta, scappa in un angolo, lasciando in pace, per un minuto o poco più, le mie caviglie.
Anche ora, mentre sto scrivendo, sta lì tra le mie gambe a graffiarmi i polpacci, l’amata bestia.

Seduto”, dico in continuazione, ottenendo scarsi risultati.
Ecco che passa un altro aereo – grazie mister O’Leary, grazie Ciampino.
Ad ogni modo, devo ammetterlo, mi sono (un po’) affezionato a questo piccolo ratto che si comporta come fosse il padrone di casa. Che poi, in un certo senso, lo è davvero.
Eccolo che torna.
Un’offerta imperdibile.

Mi pare tranquillo”, disse Irene il primo giorno.
E, in effetti, a lei non ha dato mai problemi, l’amata bestia.
Irene può prenderlo in braccio, può mettergli il collare senza essere morsa, sa farlo stare zitto ed incollato a terra. Io no. Non so farlo.

Seduto”, dico di nuovo adesso.
Il cane abbaia.
Un’occasione troppo ghiotta da rifiutare.

Non posso portare con me il cane in America”, disse la signora con le lacrime agli occhi, “per questo sono disposta ad affittarvi tutto l’appartamento ad un prezzo di favore, purché abbiate cura di lui”.
Cinquecento euro per un intero appartamento. Irene si chinò ad accarezzare il cane.

Accettiamo”, disse, “come si chiama?”
Gaetano”, rispose la signora riferendosi, evidentemente, all’amata bestia.
E così questa convivenza a tre va avanti da dieci mesi.
Irene invia una foto del cane alla signora dall’altra parte dell’oceano una volta a settimana e non ha alcuna intenzione di sbarazzarsi di lui.
Quando Gaetano mi fa particolarmente incazzare, tipo ora che mi sta mordicchiando i lacci delle scarpe, mi viene da dire ad Irene che “gli uomini devono stare con gli uomini, le bestie con le bestie” e che, insomma “dovremmo trovarci un’altra casa”.
Lei dice che esagero.
A volte mi chiedo, Irene, stai con me o con Gaetano?
Irene, sono vostro ospite? Devo togliere il disturbo?
Se così non fosse, Gaetano, perché qualche volta non mi prepari il pranzo?
Perché non pulisci il cesso e le orme che lasci in giro?
Amata bestia, lasci in pace il mio alluce?”

In un’altra stesura dello stesso romanzo – pur avendo una trama completamente diversa – riprendevo questo passo facendo riferimento allo stesso cane, pur attribuendogli un nome diverso:
Mi manca persino il cane che la proprietaria di casa ci aveva lasciato in eredità.
Era un’occasione troppo ghiotta per poterla rifiutare: un appartamento completamente ristrutturato ad una cifra irrisoria. Purché avessimo avuto cura di Gastone, l’amata bestia della signora Romano, in procinto di traslocare dal figlio negli Stati Uniti.

Non ce la posso fare”, sussurrai ad Irene.
Non essere scemo, mi pare tranquillo”, disse lei lanciando uno sguardo al cane.
Io sono stato sempre dell’idea che gli animali debbano stare con gli animali, gli esseri umani con gli esseri umani.
Dopo qualche anno, devo ammetterlo, mi sono affezionato (pochissimo) alla bestia, quel piccolo ratto che adora mangiarmi i lacci delle scarpe e che non ascolta i miei ordini.
Mi manca urlargli “seduto”, mi manca portarlo a fare i bisogni, mi manca farmi mordere il dito per infilargli il guinzaglio.”

Il cane preso a modello è quello che mia sorella mi lasciò in custodia la scorsa estate con mio grande disappunto. A Ciro (il cane di mia sorella) dedicai questa poesia (schema A-A-B) intitolata “Ciro, cane”:
se tu non fossi un cane, o Ciro
ti avrei anche portato a fare un giro
ma non mi piacciono gli animali
9 Franca porta i capelli biondi come se fosse niente, è incredibile, ve la devo presentare, non ci credereste.
10 Da quando stiamo insieme, io e Franca abbiamo visto un mucchio di bei film. E ne abbiamo ancora tantissimi da vedere. Quel che non capisco è perché non mi permetta di guardare Django Unchained, l’ultimo film di Tarantino: “troppo lungo”, dice lei.
11 Come dirò dopo, non mi piace leggere a voce alta. Perdo il filo del discorso. Sono costretto a leggere tutto per filo e per segno. Fermarmi. Odio la mia voce. Nella mia testa gli uomini hanno tutti la voce di mio padre, le donne hanno la mia, i ragazzi hanno la mia voce, le ragazze quella di Franca, i bambini quella dei miei nipoti, i vecchi quelle dei miei nonni, i comprimari quelle dei miei amici. Il resto lo racconta Ferruccio Amendola.
12 Sto per proporle Django Unchained. Per fortuna resto zitto.
13 “La ragazza dai capelli strani”, Minimum Fax 2011
14 Si intitola “E’ tutto verde”, comincia a pagina 298 e finisce a pagina 300
15 Dicevo nella nota numero 12, il mio cervello ha la voce di Ferruccio Amendola.
16 Ed è proprio per questo motivo che non leggerò mai Infinite Jest. Anzi, se fossi ricco ne comprerei tutte le copie e le distruggerei per sempre.
17 Ma sono certo che un giorno sarò davvero come David Foster Wallace: morto.
18 Le note  del paragrafo sono solo diciassette. Ad ogni modo, sono molte più note di quante ne avrebbe inserite David Foster Wallace in un testo così breve ma ciò non ne farà certo un testo degno di nota (un gioco di parole meraviglioso che vale da solo l’esser arrivati fin qui, applaudite, grazie).

A proposito dell'autore

Antonio Coletta

Antonio Coletta è autore, ufficio stampa e redattore editoriale freelance. Ha fondato numerosi blog e strambe webzine e collaborato con molte testate e troppi siti internet. Ha raccontato la sua fallimentare esperienza di addetto stampa del cantautore Calcutta in «Calcutta. Amatevi in disparte» (Arcana, 2018), pubblicato la raccolta di racconti «Mia madre astronauta» (Ultra, 2019) e partecipato all'antologia «Qui giace un poeta» (Jimenez, 2020) con un racconto su Roberto Bolaño.

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Antonio Coletta è autore, ufficio stampa e redattore editoriale freelance. Ha fondato numerosi blog e strambe webzine e collaborato con molte testate e troppi siti internet. Ha raccontato la sua fallimentare esperienza di addetto stampa del cantautore Calcutta in «Calcutta. Amatevi in disparte» (Arcana, 2018), pubblicato la raccolta di racconti «Mia madre astronauta» (Ultra, 2019) e partecipato all'antologia «Qui giace un poeta» (Jimenez, 2020) con un racconto su Roberto Bolaño.

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